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Le Organizzazioni Positive e la loro Capacità di Contagio

Nulla a che fare con il Coronavirus, o forse sì….

Cinquecento anni fa, secondo Arie de Geus, – autore di “The Living Company” – il mondo assisteva alla nascita di una “nuova specie” che avrebbe influenzato le dinamiche dell’intero ecosistema planetario, dall’economia al clima, dalla crescita demografica alla politica, dalla tecnologia alla salute: le grandi organizzazioni.

Siano esse a scopo commerciale o di tipo politico-istituzionale, nessun’altra “specie” nella storia della nostra civiltà è stata capace di agire una trasformazione globale di tale portata.

Ed è proprio dall’immensa “potenza” che le organizzazioni sono in grado di sprigionare, che è necessario partire per rispondere alle complessità che il nostro tempo ci presenta, specialmente in termini di negatività: disastri ambientali, crisi economiche, instabilità geopolitiche e pandemie sono tra i rischi che il World Economic Forum ha evidenziat0 all’interno del Global Risks Report 2020.

Ciò che manager, imprenditori, lavoratori e società di consulenza come Mixura sono chiamati a fare per ridurre gli impatti di queste negatività è trasformare l’energia delle organizzazioni, piccole e grandi, sfidando gli attuali modelli strategici, organizzativi, e valoriali alla base, per “re-inventarle” attorno a uno scopo forte e condiviso che parla di valori universali e benessere collettivo.

La buona notizia è che abbiamo già tutto ciò che ci occorre.

La risposta ci arriva infatti dalla Scienza, la quale, grazie ad un approccio multidisciplinare che integra idee consolidate (economia, psicologia, chimica) con ricerche di frontiera (neuroscienze) attingendo anche dalla filosofia e dalle discipline orientali, ha definito il “Paradigma della Positività”: uno strumento per creare nuovi modelli che, mettendo al centro della loro strategia la “felicità collettiva”, sono in grado di far prosperare le organizzazioni sia in termini di risultati economici che di sviluppo delle persone e, in senso più ampio, di benessere dell’intero eco-sistema.

Il principio di base è semplice: le organizzazioni non sono altro che un insieme di esseri umani e, come tali, funzionano secondo le medesime leggi neuropsicologiche, biologiche e fisiche. Pertanto, come per noi umani la condizione di benessere produce miglioramenti rispetto alla salute, alle relazioni interpersonali, al funzionamento cerebrale e all’apprendimento, solo per citarne alcuni, così nelle organizzazioni si traduce in straordinari risultati di performance in termini di capacità innovativa (+300%, HBR), retention (+44%, Gallup), produttività (+31%, Greenberg & Arawaka) e turnover (-55%, Gallup) come indicato nel “Global Happiness and Wellbeing Policy Report 2019”.

Le Organizzazioni Positive, come afferma il professore Chris White dell’Università del Michigan e direttore del Centro Studi per le Organizzazioni Positive, “sono quei luoghi di lavoro che rendono le persone vibranti e piene di energia, capaci di offrire il loro massimo contributo e far prosperare l’ambiente di lavoro. Sono risorse che possono generare performance straordinarie, sia a livello individuale che collettivo – l’impegno, la creatività, l’ispirazione, la generosità e l’integrità – leadership autentica a tutti i livelli dell’organizzazione.”

Esistono già modelli organizzativi innovativi ispirati a questi principi, come ad esempio, il “Teal” e la “U-Theory”, formulati rispettivamente da Frederic Laloux, ex consulente McKinsey & Company e da Otto Scharmer, professore al MIT di Boston. Entrambi hanno come denominatore comune l’applicazione di “pratiche positive”, promosse da leader altrettanto positivi.

Ed eccoci arrivati al punto.
Per avviare il grande processo di trasformazione delle organizzazioni, c’è bisogno di leader disposti a rovesciare il paradigma convenzionale che vede nella competizione, nella gerarchia e nel controllo, ma anche nello stress e nel sacrificio, i principali tratti distintivi delle attuali culture organizzative.

Per questo, già da qualche anno, si è affacciata negli organigrammi aziendali la figura del CHO ovvero del “Chief Happiness Officer”, un manager delle risorse umane che, interpretando le organizzazioni come veri e propri organismi viventi, mette in atto politiche di gestione che considerano gli effetti positivi prodotti dalla “chimica della felicità” sulle persone.

Il CHO è un leader che si pone al “servizio” delle proprie persone; stimola una “ri-fondazione” delle relazioni basata sulla fiducia, il rispetto e la libertà individuale, promuove una cultura della motivazione che passa attraverso la comprensione profonda del “perché” e non del meccanicismo; allena le persone a dare importanza alla ricerca costante del proprio stato di benessere quotidiano, perché è consapevole di quanto questo sia “positivamente contagioso” dentro e fuori le organizzazioni stesse.

In attesa che anche in Italia comincino a farsi spazio figure come i CHO, possiamo però affermare con certezza di aver dato i natali a uno dei pionieri della Scienza della Felicità applicata alle organizzazioni, non a caso un ingegnere chimico, che più di 50 anni fa pronunciava queste parole:

“Io voglio che la Olivetti non sia solo una fabbrica, ma un modello, uno stile di vita.
Voglio che produca libertà e bellezza perché saranno loro, libertà e bellezza, a dirci come essere felici!”
– Adriano Olivetti

 

*Fonte bibliografica principale Gennari, Di Ciaccio – “La Scienza delle Organizzazioni Positive”